Poesie Pallose


CAPORALE

Caporale sulla Prenestina
ci sta un rumeno da prima mattina
e affianco a lui una metà dozzina
di nigeriani sopra la panchina
han cinquant'anni e cinque figli
parlan tra loro con dei bisbigli
partiti al volo pure influenzati
e non ancora pagati.

Caporale che fai la minzione
lo vedi l'umido sul pantalone,
non lasci il tempo neanche per pisciare
e torneranno la sera a pisciare
pensando “è bello, anche se fa male”
e torneremo sotto il sole ad arare
e a farci fare il lavoro, il lavoro del trattore”

Caporale, la pacchia è finita,
ma non t'hanno arrestato, hai vinto, fottuto,
sulla Prenestina non c'è più nessuno
solo le puttane, dei transoni e un uomo
buono da sfruttare, buono da pagare
da fargli fare il Babbo Natale
che gli italiani si lamentano
e quel lavoro non lo vogliono fare.

Caporale, con i cinque stelle
mo' saranno cazzi e cambierai la pelle
da caporale passerai al comune con il tuo furgone
che è mezzo vuoto e mezzo pieno
e va veloce verso Bitonto
sembran le dodici ma è mezzogiorno
è quasi quasi, è quasi amore.



CUCKOLD NUOVO

Tanto gentile e tanto Nesta pare
la donna mia quand’ella altrui lo suca,
ch’ogne lingua va tremando in buca,
e li occhi che l’ardiscon di guardare.

Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente tutta quanta ignuda;
e par che sia una volta venuta
dal clito al retto a brodola mostrare.

Mostrasi sì piacente a chi la spizza,
che dà per il culo una dolcezza al pipo,
che ’ntender no la può chi no la piva:

e par che la sua labbra sia giuliva
un spirito soave che io straripo,
che va dicendo a l’anima: m'attizza. 




A SILVIA

Silvia, rimembri ancora
quel tempo del tuo rapporto anale,
quanto Beltè spendevi
con sconti tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il militare
in gioventù montavi?

Sonavan le quiete
stanze, e le vie dintorno,
al tuo soave orgasmo,
allor che all'opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il culo odoroso: e tu solevi
così cagare il cazzo.

Io gli sturbi leggiadri
talor lasciando e le sburrate carte,
ove in seghe mio primo
e di me si spendea la miglior parte,
d'in sul pisciaturo del paterno ostello
porgea i coglioni al suon della tua voce,
e la mia man veloce
che percorrea la faticosa fava.
Mirava il ciel sereno,
le vie dorate e gli orti,
sborrarti in mar da lungi, e quindi in fronte.
Lingua mortal non dice
che io volea tuo seno.

Che pensieri soavi,
che speranze, a Cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
la vita umana e il feto!
Quando sovvengo di cotanto sperma,
un affetto mi preme
adagio in insalata,
e tornami a doler di mia fiatella.
O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? Perché lo metti
in culo i figli tuoi?

Tu pria che il morbo inaridisse il verme,
da chiuso morto combattuto e vinto,
periva, o tonnarello. E non vedevi
il fiore dell'augello;
non ti molceva il culo
la dolce lode or delle negre troie,
or degli sguardi dei guardoni schiavi;
né teco le compagne ed i festini
ragionavan d'amore.

Anche peria tra poco
la speranza mia dolce: agli anni miei
anche negroni e fate
in giovanezza. Ahi come,
come puttana sei,
cara compagna dell'età mia nova,
mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? Questi
i diletti, l'amor, l'opre, gli eventi
onde cotanto noi godemmo insieme?
Questa la sorte dell'umane genti?
All'apparir del vero
tu, misera, cedesti: e con un nano
la fredda mano ed una pompa ignuda,
mostravi il deretano. 




PASSERO SOLITARIO

D'in su la vetta della Torre Astura,
passero solitario, nella tua fregna
pisciando vai finchè non more il giorno;
ed ella sciatalgia di questa palla.
Primavera dintorno
brilla nell'aria, e per li campi esulta,
sì ch'a mirarla m'indurisce il glande.
Odi donne belar, muggire amanti;
gli altri augelli contenti, a gara insieme
per lo libero cul fan mille pivi,
pur festeggiando il lor tempo migliore:
Tu penoso in disparte il tutto miri;
non t'arrapi, non sbori
non ti sale d'allegria, schivo agli spruzzi;
caghi, e così tu puzzi
iell'ano e di tua vita il più fetore.
Oimè, quanto somiglia
al tuo pisello il mio! Sto cazzo e rido,
della favella età che mi somiglia,
e te Germano Elio vezzi e amore,
sospiri acerbo de' supposti giorni,
nel culo, io non so come; anzi dolore
quasi fuggo in ano;
quasi vomito, è strano
al mio buco natio,
passo nel culo mio il clistere.
Questo giorno che ormai cede alla sega,
festeggiar si scostuma al nostro borgo.
Odi per lo pappone un suon di squillo,
odi spesso un fumar di verdi canne,
che la bomba lontan di Claudio Villa.
Tutta vestita a festa
la zoccola del loco
lascia la casa, e per le vie si spoglia;
e mira ed è mirata, e in cor s'allegra.
Io solitario in questa
rimota parte alla tua faglia pensando,
ogni diletto e gioco
indugio in altro tempo: E intanto il guardo
sente l'odor di fica
mi fete il Sol che tra le mani monta,
dopo il giorno sereno,
cadendo si dilegua, e par che dica
che beata gioventù io me lo meno.
Tu, solingo augellin, venuto a stento
del rider che guardando a te le palle,
certo del tuo costume
non ti dorrai; che di natura sgrotto
ogni vostra monnezza.
A me, se di schifezza
la detestata soglia
evitar non impetro,
Quando muti questi occhi all'altrui core,
e lor fia vóto il mondo, e il dì futuro
del cul presente più peloso il retro,
che parrà di tal voglia?
Che di quest'anni miei? Che del mio sesso?
Ahi tocchirommi, al cesso,
me con gelato, infilommi indietro.





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